mercoledì 23 settembre 2009

Teoria e prassi in urbanistica

Teoria

Veramente “magistrale” la lezione tenuta da Romano sabato 6 settembre al Festival della Mente di Sarzana (che si conferma coraggioso “crocevia” di riflessioni anche “oppositive” al consueto andamento del mondo).
In due ore di serrata esposizione, il professore è riuscito con invidiabile chiarezza a delineare i fondamenti della corretta trasformazione urbana della “città europea” parlando finalmente di urbanistica e delle sue tecniche fondate sul millenario rapporto tra urbs e civitas;
rapporto caratterizzato dalla traduzione fisica, nella città, di aspirazioni individuali e di temi collettivi, esito di una dialettica continua della “società aperta” tipica dei Comuni Italiani.
Il valore della lezione sta anche nell’aver ristretto il campo ad ipotesi non ideologiche delle modalità di crescita e trasformazione urbana, di aver cioè affrontato nel merito il problema della forma (e quindi dell’estetica) della possibile nuova città non anteponendo alla soluzione di questo problema la declinazione delle possibili e numerose ideologie (la decrescita, la sostenibilità ecc.), tutte attuali e legittime, ma inadatte a prefigurare nuove strutture in grado di estendere qualitativamente la città esistente , rimanendo appunto città (e non diventando città giardino o campagna).
Romano parte dall’individualità delle facciate delle singole case , come espressione della volontà di ogni singola famiglia (o, aggiungo io, oggi, di ogni singolo attore) a rappresentare se stessa: la città è quindi materialmente costituita dall’accostamento di case le cui facciate esprimono l’infinita varietà delle aspirazioni individuali:differenti colori, apparati decorativi,materiali la rendono viva, perché continuamente sollecita la nostra curiosità e stimola i nostri occhi.
La periferia,al contrario, spesso composta da case popolari o edifici speculativi, è caratterizzata dall’uniformità e appare più spenta, meno interessante….
Nei suoi scritti il professore approfondisce poi il concetto di “conformità”, intendendo con essa il dato stilistico comune ad una data città, che fa sì che essa venga riconosciuta come tale proprio per determinate caratteristiche di “stile”, esito di scelte estetiche affinate nel tempo; questo accade anche per caso: per esempio, a Torino, come a Lione, le tonalità pastello delle case sono dovute all’uso di un particolare tipo di calce più conveniente, in quella determinata fase storica, che ha prodotto quella data conformità stilistica ancora oggi tramandata da colori pallidi, che rendono più luminosa la città.

Dall’individuo alla collettività.
Ogni città ha poi sviluppato, nel tempo, Temi collettivi per autocelebrare la sua potenza o il suo grado di sviluppo. La costruzione delle cattedrali, del palazzo comunale, degli “ospitali”, delle strutture conventuali, del teatro,della stazione,del mercato,delle carceri,delle “porte”, opportunamente collegati da strade e percorsi (anch’essi “tematizzati”), prospicienti spazi aperti, definiti piazze o “campi” ha costituito la struttura forte, che insieme al multiforme e variegato tessuto edilizio individuale, l’ha resa “opera d’arte”!
A questo punto Romano chiarisce l’essenza di un buon disegno urbano:il vuoto costituito dalla sequenza delle piazze intese come spazi aperti delimitati da edifici rappresentativi dei vari poteri (religioso, comunale ecc…..bellissimo il racconto della nascita del concetto di piazza come luogo per predicare a beneficio degli infedeli che non sarebbero entrati nello spazio chiuso di una chiesa, oppure la nascita della piazza come luogo per contenere le assemblee pubbliche nel primo palazzo comunale costruito ad Anagni (1163)) è raccordato da strade intese, non come pura funzione di collegamento tra due punti , ma anch’esse “tematizzate” come passeggiate, boulevard, strade commerciali fiancheggiate da portici ecc.
La prima parte della lezione si è conclusa con l’esempio di Modena, dove Romano ha messo in pratica questi concetti, dimostrando che l’urbanistica “funzionalista” (cioè di quelle tecniche basate su un concetto di città inteso solo come organismo da far funzionare, privo cioè di intenzionalità estetica) può effettivamente essere superata ripristinando (con le categorie operative illustrate) l’equilibrio tra forma e funzione a scala urbana!
Solo il ripristino di questo equilibrio, (rotto a partire dal dopoguerra per il prevalere del discorso funzionalista e oggi per lo scollegamento tra architettura e urbanistica), potrà preservare la bellezza e la specificità delle nostre città europee.
Il rischio,in caso contrario, è quello di una possibile “mutazione genetica” delle nostre città, come esito della omologazione globale o per effetto di pressioni culturali indotte dal fenomeno dell’immigrazione.
A proposito di quest’ultimo, l’analisi delle differenze tra modello di città europeo e modello asiatico riflette le differenze antropologiche tra cittadino della società comunale aperta e organizzazione sociale chiusa organizzata per tribù e clan; all’organizzazione della città europea per spazi aperti delimitati dalla multiformità delle case individuali e dei temi collettivi corrisponde il recinto chiuso e privo,in facciata, di differenze ed ornamento della città asiatica (Romano proietta come esempio la planimetria di Pechino).

Pratica

Ho voluto riassumere puntualmente quanto tutti abbiamo ascoltato per evidenziare quanto di queste riflessioni possono essere rintracciate nel mio Progetto Interrotto di Via Muccini di cui si riassumono di seguito i caratteri salienti secondo quanto già contenuto nella relazione illustrativa a suo tempo allegata al piano.
Nel farlo ci aiuteremo (in una fase successiva) con grafici esplicativi rielaborati per l’occasione.
La finalità è la riaffermazione del metodo, convinti che, individuata una buona struttura urbanistica, si possa, a partire da questa, discutere del resto (architettura, densità volumetrica, individuazione di nuovi “temi” e revisione degli esistenti ecc.)e che l’azzeramento totale (piuttosto che l’affinamento) di strutture (anche concettuali) già presenti nella pianistica vigente abbia già prodotto, nel caso di Sarzana, lo slittamento verso l’astrazione ideologica da una parte e all’imposizione di “segni forti” di puro valore autoreferenziale (cioè indifferenti al contesto locale) dall’altra.
Facciate.
Poiché è impossibile, nell’attuale fase storica costruire la città tramite espressione individuale e questa è stata sostituita dagli operatori della trasformazione (imprese, cooperative ecc.) è compito del “Magister Urbis”(in questo caso delle regole pubbliche) rintracciare gli elementi di “conformità” corrispondenti alla città nella quale si opera, costruendo, a partire da essi, il sistema di regole in base al quale garantire varietà nelle forme, nei materiali e nei colori delle nuove espansioni. Nel caso di Via Muccini la scelta di base è stata influenzata: 1) dalla decisione di articolare volumetricamente le unità previste in modo da graduare le altezze in riferimento al tessuto esistente e di arretrare i fronti su strada in modo da allargare lo spazio aperto in altezza tra edifici fronteggianti (cfr. schema di sezione); 2) dalla scomposizione di ogni facciata in 2 elementi: la “pubblica” a contatto con le vie e le piazze è porticata e si esprime con un linguaggio “ordinato”(simile a quello della tradizione dei palazzi sarzanesi) e l’altra ordinaria, in arretramento rispetto ad essa che adotta anch’essa colori e componenti ripresi dall’uso comune della tradizione ligure(o italiana es.persiane);
La variazione cromatica è presente sia nelle facciate della singola unità sia tra differenti unità secondo una combinatoria lasciata a scelte individuali dell’operatore.


Temi Generali
Non è qui il caso di riproporre la citazione puntuale di quanto esposto nella relazione allegata al piano… occorre però premettere che appaiono quanto mai attuali, alla luce dell’esposizione di Marco Romano le parole di Solà Morales che precedevano l’elenco dei Temi di Via Muccini. Si diceva che l’occasione poteva essere colta se, dopo aver reinterpretato le geometrie dello spazio Sarzanese cogliendone una forma specifica, l’architettura avesse interagito con essa…

I tracciati
È per questo che i tracciati stradali e la loro tematizzazione assumono importanza fondamentale nel disegno urbano! Se i problemi di circolazione diventano problemi solo funzionali e la strada non è in grado di dar forma alla nuova città e di assumere valenza simbolica ed estetica tutto viene delegato alla sola composizione architettonica!
La “falce” (come fu definita la struttura del vecchio piano determinata dall’intersezione dei due “boulevards” affiancati da portici e pista ciclabile) aveva questo compito: strutturare la sequenza degli allineamenti di case, avere una sezione sufficiente a contenere il verde, i parcheggi di relazione, la pista ciclabile e i marciapiedi per tutta la sua estensione (600 metri); i due boulevards erano quindi base irrinunciabile per coniugare morfologia urbana e composizione architettonica!
Tessuti edilizi
I “tessuti” ipotizzati lungo i viali erano predisposti per accogliere semplici tipologie “in linea” che avrebbero dovuto costituirsi, nella ripetizione degli elementi e nella loro variazione, come città “ordinaria”, aperta alla variazione funzionale e dimensionale; (individuata una struttura “conforme” (alla geografia della città) funzione, quantità e (finanche) architettura possono cambiare senza che ciò invalidi la struttura stessa).
I Temi collettivi individuati erano poi:
1) quelli delle 2 “porte” piazzate ai due estremi Piazza Martiri e Ponti di Ferro a marcare ingresso al centro storico percorrendo la galleria del Laurina (tematizzato come edificio cerniera) e uscita dalla città verso Battifollo marcata da una nuova “porta Genova” segnata da due Torri (altezza massima pari a 24 mt ).
2) il nuovo centro polivalente dotato di un piccolo anfiteatro all’aperto collegato alla nuova “piazza dei comuni”;
3) La stazione d’”interscambio” con la sua relazione complessa tra diversi vettori (bus,treno,metrò) e con le aree del parco Ferroviario della Crociata.
4) La creazione di 10 piazze pavimentate consentiva in ogni parte della nuova città la possibilità di punti di aggregazione diffusi.

Fin qui le declinazioni di un progetto rispetto alla teoria.
Coniugare generale e particolare, individuare strutture conformi alla geografia della città ma aperte al cambiamento e alla modificazione, poter continuare a progettare la nuova città rispondendo alle istanze poste dall’attuale fase storica sono caratteristiche ancora rintracciabili nel progetto “interrotto”che ho raccontato e che intendo confermare come linea della mia ricerca disciplinare.

Gino Piarulli